Ebbene sì!
Sono stato io ad influenzare Jan, a farlo innamorare solo rendendolo partecipe dei miei ricordi d’infanzia. Ed è sempre a causa mia se quelle prime battute in dialetto tra i due frati pescatori hanno fatto prendere corpo ai due personaggi, che avrebbero dovuto avere solo una funzione introduttiva, rendendoli un’involontaria coppia comica.
– Certo che ‘sto lago pare mare…- disse solennemente fratello Fortunato fermandosi, portando il remo a sé per trovare un migliore equilibrio e guardando compiaciuto la grande distesa d’acqua.
– Pare piuttosto ojo! – puntualizzò fratello Egidio che, da chiacchierone qual era, non vedeva l’ora di rompere il silenzio e dire la sua per innescare una discussione…
– Puro ‘l mare certe volte pare ojo! – rintuzzò Fortunato, piccato e alzando il tono di voce.(Nodus Concursionis Temporis, pag.30)
Ecco, nella considerazione di Fortunato (tra l’altro presa “dal vero” per un caro ricordo che porto con me) che scatena il solito battibecco con il confratello, sono condensati anni di sensazioni e sentimenti.
Un luogo può essere una droga? Sì. Alcuni posti ti prendono e non ti lasciano più, ti danno qualcosa che non sai di avere finché non ne senti la mancanza e ti viene voglia di tornarci.
Anche questo fa parte dell’energia che sprigionano. O, se preferite, di quell’energia racchiusa sotto di loro che riesce a filtrare in minima parte nell’attesa che qualcuno vada a sollevare il coperchio del pozzo…
Ho passato i primissimi anni della mia infanzia, in quell’isola, proprietà di una principessa che viveva a Roma e che conosceva mia nonna paterna. Ho davanti a me scene di vita che forse un bambino di uno-due anni non potrebbe ricordare, ma tant’è. Sono nitide e forti come se fossero successe ieri. Abitavamo in quello che chiamavamo palazzo, ma era il vecchio convento, quello di Egidio, Fortunato e Serafino, per intenderci con chi ha già letto il libro. Il chiostro non c’era più, ma in compenso, dopo il 1500, ad opera del Vignola era stato introdotto qualcosa di nuovo, e la chiesina tonda visibile sullo sperone ad est, quello verso Capodimonte, è una delle sue opere.
Stavamo lì per tutta l’estate, dagli inizi di giugno a fine settembre. Di stanza c’era il guardiano, Memmo, con la sua famiglia. Lui era veramente nato lì, come testimonia ancora una targa nella chiesetta del Crocifisso (la chiamavamo così), che credo sia il romitorio vicino al pozzo tramite il quale prende luce la prigione della Malta.
Non c’era luce elettrica e la notte si girava per il convento a lume di candela ed un paio di torce a batteria. Per mangiare, si stava sempre fuori. Si cucinava al fuoco di legna. L’acqua del lago si poteva bere. Oltre all’abbondanza dei pesci da pescare, Memmo aveva mucche, galline, conigli, frutta e verdura in quantità.
Ogni tanto mi sentivo chiamare da lui:
– Steeefano! Ma tu, je vòi bene?
– A chi? – rispondevo io. E rispondevo sempre così, vuoi perché era un gioco, vuoi perché non capivo davvero a chi avrei dovuto voler bene.
– Tu risponne! – mi diceva – Je vòi bene, o no?
– Siiiì – rispondevo allora con quanto fiato avevo in corpo.
– Eee allora ‘a visto, che va bene! – concludeva lui compiaciuto.
Con gli anni credo di aver capito che si riferisse al Padreterno.
Quel posto è un inserto di Lazio tra Toscana ed Umbria. Dell’Umbria ha preso l’aura di santità, della Toscana l’irriverenza.
La barca, ovviamente, era l’unico mezzo di collegamento e di approvvigionamento e quel lago non è sempre tranquillo:
– ‘Na vorta èrimo ‘n mezzo ar lago in difficoltà, che ‘n sapevamo più ‘ndo shbatte la teshta… Com’emmo iniziato a biastemà, vedi tu quanto le sò ‘nnate mejo le cose!
Qual è il confine tra bestemmia e preghiera? Entrambe riconoscono un’Entità superiore. E’ solo la forma con cui ci si appella che fa la differenza.
Ricordo il lungo corridoio dell’interno dell’ex convento. Ai lati c’erano le porte delle camere, che dovevano essere state le celle dei frati…
– Nun ve preoccupate se de notte sentite quarcheduno – scherzava Memmo con i miei familiari – Ché tanto l’è solo quarche frate!
So che il padre della principessa era stato un appassionato di caccia grossa e ancora c’erano delle gabbie dove, ai suoi tempi, di ritorno dai safari, dicevano che tenesse rinchiusi un paio di felini feroci. Quindi, sopra ogni porta del lungo corridoio dove si affacciavano le camere da letto c’erano delle corna, di cervo credo. Le più piccole erano sulla porta del bagno.
Sento ancora quegli odori che si miscelavano in profumi sublimi e che ancora oggi porto con me. A volte li riavverto, in qualche situazione.
Il barattolo di pomodori pelati con cui si sgottava l’acqua dalla barca di legno, era entusiasmante, dal suono seducente e bello nella sua lucentezza. Oggi è poetico. Così come l’aroma dei lucci arrosto ed il frusciare delle canne.
Ma di quanti secoli fa sto parlando?
Erano solo i primi anni ’60 del millenovecento.
Poi ho visto trasformarsi tutto, e non mi piace.
Jan con la sua storia mi ha fatto un regalo da vero amico: mi ha fatto tornare indietro nel tempo con il piacere di assaporare le atmosfere di quel convento francescano dove Serafino era Padre Custode.
Confesso che mi sono sentito molto “lui”…