Il problema di essere Ebrei nella Spagna della “Reconquista”

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Scrivere Nodus non è stato tanto un lavoro di fantasia, quanto di ricerca storica per sovrapporre gli elementi inventati sulle situazioni reali.

Della tragica condizione degli Ebrei di Spagna nel corso del XV secolo, delle aberrazioni di fanatici francescani che dello spirito di Francesco avevano conservato solo l’estetica del saio, di sadici domenicani, dei regnanti di Castiglia e d’Aragona che avevano scatenato Torquemada, se ne parla poco.

O meglio, non se ne parla in riferimento al loro obiettivo primario: gli Spagnoli di religione ebraica.

Da sempre nel mondo Cristiano esisteva il sottomondo degli Ebrei; malvisti perché comodamente etichettati di deicidio, vivevano con i loro commerci e le continue restrizioni a cui via via andavano soggetti. Vivevano, comunque. Ormai appartenenti alle varie realtà territoriali; in Spagna erano della Castiglia, della Galizia o potevano appartenere al popolo che abitava la Catalogna da centinaia di anni; e si sentivano figli di quei luoghi, pensavano da galiziani o da castigliani e sarebbero stati indistinguibili dagli altri abitanti se non fosse stato per la bollatura del loro credo.

Molti di loro erano anche appartenenti a famiglie ormai da tempo convertite al cristianesimo e, con la crescente intolleranza della società spagnola, questa tendenza continuava a crescere. Ma non avevano conosciuto pace neanche così: venivano chiamati conversos, e già questo termine dal sapore dispregiativo li classificava su un gradino più basso della società. Il mondo cristiano diffidava anche delle loro conversioni.

Tutti loro, dopo secoli di presenza nel territorio, pagarono la definitiva liberazione della Spagna dalla dominazione musulmana perché anch’essi non erano Cristiani. In aggiunta, ci furono le veementi predicazioni di Domenicani e Francescani che, come esponenti di ordini religiosi “poveri” riscuotevano sempre più successi per la loro vicinanza con i ceti popolari. Il tutto era stato rafforzato dalla forte eco delle predicazioni nei territori italiani degli esponenti dell’ala osservante, pura ed intransigente dell’Ordine Francescano.

Dai primi anni del secolo ci fu un feroce e continuo attacco, una crociata morale condotta da Bernardino da Siena, Giovanni da Capestrano e Bernardino da Feltre per condannare l’usura e tutte quelle attività che spesso venivano svolte perché rimanevano le uniche non soggette alle restrizioni imposte ai giudei sulla possibilità di esercizio di arti e mestieri.

In Spagna questa stessa campagna fu portata avanti veementemente dal francescano Alonso de Espina , ma la vera anima nera fu il domenicano Tomás de Torquemada.
Nel 1452, a trentadue anni, questo fu priore del monastero di Santa Cruz di Segovia.
Confessore della regina Isabella sin da quando era bambina e, nei tre decenni che seguirono, anche del marito Ferdinando d’Aragona, esercitò sui due regnanti un grande influsso, fino a convincerli di pretendere dal Papa il controllo diretto della nascente inquisizione.

Nel 1483 i due regnanti ottennero da Sisto IV che l’inquisizione spagnola venisse posta sotto il controllo della corona con piena facoltà di poter decidere gli inquisitori. Ovviamente, la scelta successiva fu di metterne a capo Torquemada, ottenendo addirittura, dopo tre anni, la sua nomina ufficiale a Grande Inquisitore Generale con una bolla del nuovo Papa Innocenzo VIII.

Con questo alto incarico divenne la guida per un esercito di inquisitori che perseguivano arbitrariamente qualsiasi forma di condotta ritenessero contraria alla fede cristiana. Ecco quindi avviarsi processi per stregoneria, blasfemia, sodomia, usura e poligamia con un ampio quanto sadico ricorso alla tortura.

Nel frattempo stava avvenendo anche la progressiva riconquista dei territori meridionali ed il Cristianesimo divenne l’identità nazionale per l’unificazione delle diverse province del paese sotto la bandiera religiosa.

Una volta presa Granada e concluso questo processo, i nuovi bersagli furono gli Ebrei. Per una triste ironia, la dominazione musulmana li aveva lasciati tranquilli di vivere e prosperare, mentre i regnanti cristiani, oltre ad inquisirli, decretarono con un editto la loro espulsione.

Aveva lasciato la vastità, la bellezza e la complessità della sua terra. Un millenario territorio di confine con quella peculiarità geografica che vedeva a sud il suo estremo lembo occidentale quasi congiunto alla terra dei Mori. Lì dove il paganesimo di un tempo antico aveva individuato le colonne d’Ercole a segnare la fine del mondo, ed ora c’era la porta d’uscita del grande e rassicurante Mare Mediterraneo per arrivare alle nuove terre oltre l’oceano Atlantico, c’era stato il più grande passaggio di genti nella storia del mondo, anche se sostanzialmente si era affermato come l’incontro e l’inevitabile scontro tra due grandi culture che molto avrebbero potuto cedersi vicendevolmente. Lì Musulmani e Cristiani avevano versato tanto sangue in nome di Dio, sapendo bene di mentire a loro stessi, visti i motivi molto più miseramente umani.

Nodus Concursionis Temporis, pag.56

 

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