Gli incubi che si scatenarono da quel vecchio manoscritto furono a dir poco traumatici, ma uno dei peggiori fu questo. Forse perché non mi aggredì durante il sonno, e non è stato un’allucinazione. Non ho mai saputo definirlo meglio di “manifestazione”.
Ero in pieno giorno, stavo camminando e seguivo una strada che doveva ricondurmi verso la casa. Ero a passeggio, insomma. Mi sembrò di sentire poco distante un vociare di bambini che giocano.
Poi scorsi un bambino piccolissimo, con un cappello di quelli usati per il baseball, con le visiere lunghe ed il nome della squadra scritto sul davanti, che stava correndo dalla mia parte.
Il cappello era enorme per la sua testolina e la visiera gli scendeva sempre sugli occhi.
Si fermò a pochi metri da me, alzando velocemente la testa per vedere davanti da sotto quella lunga visiera. Mi vide e subito girò sui suoi tacchi tornando di corsa da dove era venuto.
Non ero riuscita a vederlo in volto, lo seguii divertita, incuriosita, volevo parlarci, chiedergli il nome. Non l’avessi mai fatto!
Fu orribile. Ricordo di essere svenuta.
Solo alla fine, tirando le fila del diario del conte, ho (abbiamo) potuto spiegare quella manifestazione.
Il bambino alzò la testa per guardarla da sotto la visiera del cappello, si fece una ricca risata e riprese a correre, superandola, per rientrare dalla stessa parte della prima volta. Lei capì che il gioco era quello di entrare da una parte ed uscire dall’altra, una specie di girotondo; quindi si girò ad aspettarlo dalla parte opposta.
Anche questa volta sentì la vocina dietro di sé. Voltandosi, vide che il bambino si sporgeva dall’angolo del muretto all’entrata del parco; mentre rideva cercava di dirle qualcosa, ma lei non capiva. Cristina lo chiamò sorridendogli e facendo cenno di avvicinarsi. Il bambino uscì e corse verso di lei dicendo ancora cose incomprensibili. Lei si inchinò per non metterlo in soggezione; anche così risultava più alta di lui, ma in maniera decisamente accettabile. Il bambino continuò la corsa girandole intorno, sostenendosi ogni tanto a lei con la manina, senza smettere di parlottare. A lei parve di capire che probabilmente stava cercando di ripetere qualche filastrocca, ma riusciva ad interpretare solo alcune parole: “mère… belle… fils”.
(Dai Frammenti di un Diario, pag. 142)