Sui frammenti del diario ritrovato: l’inizio di un’avventura

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Un giorno l’ho visto,
ho potuto toccarlo e leggerlo
e la sensazione che dà nell’immediato
non può essere espressa in forma di ricordo…
Stavamo sbaraccando una vecchia casa che il mio amico architetto aveva nelle Marche ed eravamo arrivati alla soffitta.

Fui io a trovare il mucchio di fogli scritti a mano, in una scatola di cartone, senza copertina, né rilegatura.  All’inizio pensai ad una raccolta di  lettere, poi capii che si trattava di una storia.

Lui si fermò, stette per un po’ a guardarlo con gli occhi persi di chi ricorda e mi invitò a sfogliarlo per guardarci dentro. Tra i pezzi stracciati e le pagine sporche ed illegibili, parlava di scogliere, di nobili, ed in certi punti mi sembrò che emanasse una certa “puzza” di gotico.

Il primo posto che mi fece venire in mente fu la costa nord della Bretagna e subito l’emozione mi fece pensare che potesse essere un pezzo di  Le Mirouer de la Mort, il lunghissimo e lugubre lavoro di Maestre Jehan an Archer (di cui conosco l’esistenza, ma che non ho mai letto né visto) datato attorno al 1600, ma ovviamente, l’avevo sparata grossa!
Qei posti mi hanno sempre affascinato e, in preda all’entusiasmo del momento, raccontai al mio amico che la Bretagna fu ducato dall’824 per cessare con Anna (1477-1514), figlia del duca Francesco II, la quale andò in sposa a due Re di Francia: Carlo VIII e Luigi XII.  Fino alla sua incorporazione alla Francia, nel 1512, ebbe una sua lingua, evoluzione dell’antico britto, parlato in Britannia nel V secolo. Nel 1499 troviamo addirittura il Catholicon, un dizionario Bretone-Latino-Francese.

Espressi poi la mia opinione sugli abitanti (da quel poco che mi è parso di capire nei miei viaggi). Gli dissi che sono persone particolari, diffidenti, discendenti direttamente dalle tribù celtiche dei Britti che, nel V-VI secolo, lasciarono la Britannia e si trasferirono sul continente in questa regione. Come pure gli raccontai che ancora oggi, trovando un bretone “verace” e cercando di farselo amico o di essergli simpatico mostrandocisi in sintonia e facendo finta di capirlo, instaurando con lui un rapporto “tra rudi uomini di mare”, ad esempio, ci si rende conto ben presto che è un vicolo cieco, il modo migliore per farlo allontanare e stimolargli inamovibili giudizi negativi.  Tutto questo perché non è mai l’esterno che può decidere di incorporarsi.  Basti pensare che nel costume popolare, lo stesso Re di Francia aveva l’appellativo di Roi-Duc, proprio a voler precisare che erano loro, casomai, ad annettersi il sovrano e non viceversa

Sicuramente questa mia entusiastica, quanto sommaria, illustrazione deve avergli dato il motivo di mettersi seduto sulle scale e dirmi:

– Se non hai fretta di finire, ti racconto una storia…
– Una storia? – gli chiesi con curiosità.
Voltò quel suo viso lungo, quasi cavallino, verso il manoscritto. Lo accarezzò con un mezzo sorriso nostalgico ed aggiunse:
– La sua storia… e la nostra: la mia, di mia cugina e di Ulderico quando eravamo là e lo abbiamo ritrovato.
– Là, dove?
– In Bretagna.
– Ma viene veramente da lì? – gli domandai con un po’ di stupore – Ci sei stato, allora?
– Ma sì – mi rispose con l’aria più innocente del mondo – Un paio d’anni fa, in vacanza: mi ci ha trascinato Cris… mia cugina!  La conosci, no?!
– Veramente, no – risposi
– Te la farò conoscere, allora.
– Va bene – conclusi – Ma adesso raccontami questa storia, che mi hai incuriosito.
Cominciò la narrazione e mi tenne così, ad ascoltarlo, incantato ed incredulo.  Alla fine insistetti tanto che, dopo alcuni giorni, ebbi il piacere di conoscere Cris e Ulderico.  Iniziammo a frequentarci più assiduamente; gli feci conoscere Jan e Kristen.  Parlammo, discutemmo, esaminammo, c’incazzammo…

Da lì a poco avevo iniziato a scrivere…

(Stefano, 18 settembre 1997)

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